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La sua vita fu un lungo e complesso itinerario attraverso il pensiero
antico fino all'approdo nel cristianesimo, mentre la sua opera ispirò
fino all'età moderna la discussione teologica ed ecclesiale. Secondo la
tradizione le reliquie di sant'Agostino Aurelio sono custodite a Pavia,
nella chiesa di San Pietro in Ciel d'Oro, sotto la mensa dell'altar
maggiore, in una cassetta argentea dell'VIII secolo. Sopra l'altare
l'arca di Sant'Agostino, opera di maestri lombardi del XIV secolo,
raffigura gli episodi principali della sua vita che egli stesso ci ha
raccontato in uno dei testi più celebri della letteratura occidentale,
Le confessioni, che insieme con l'epistolario e la Vita sancti Augustini,
scritta da Possidio, suo confratello nel monastero di Ippona nel 391,
sono state le fonti principali delle innumerevoli biografie scritte fino
ad oggi. Nonostante che Agostino sia vissuto soltanto cinque anni in
Italia è diventato un santo molto venerato nel nostro Paese, tant'è vero
che molte sono le chiese che gli son dedicate, così come le opere d'arte
dove egli appare sovente con gli attributi episcopali della mitra e del
pastorale, ma talvolta anche come monaco agostiniano con il saio nero e
la cintura di cuoio. Come Dottore della Chiesa è invece seduto a uno
scrittoio dove campeggia un libro aperto: così appare nella sua più
antica immagine, un affresco del Sancta Sanctorum della basilica del
Laterano, che risale al VI secolo. Non rara è la sua immagine di santo
cardioforo, che porta cioè mi mano un cuore fiammeggiante o trafitto da
frecce in ricordo del passo delle Confessioni dove egli, rivolgendosi a
Gesù, dichiara: "Ci avevi trafitto il nostro cuore con il tuo amore". Ma
il suo cuore non fiammeggia né è trafitto da frecce nel particolare di
Madonna e santi del Pinturicchio, custodito nella Pinacoteca Vannucci a
Perugia. Dal XV secolo compare un altro motivo iconografico che si
ispira alla leggenda secondo la quale un angelo sarebbe apparso a sant'Agostino,
che stava meditando sulla Santissima Trinità, dimostrandogli come il
tentativo di comprenderne il mistero fosse vano quanto quello di
raccogliere l'acqua del mare in una piccola fossa scavata sulla
spiaggia: nel dipinto del Botticelli, alla Galleria degli Uffizi a
Firenze, l'angelo ha le sembianze di un bimbo in costume
quattrocentesco. Agostino era nato il 13 novembre del 354 a Tagaste, un
paese agricolo sull'altipiano della Numidia, nell'Africa settentrionale,
in una famiglia di piccoli proprietari che vivevano sulla rendita dei
loro terreni. Il padre Patrizio, che era anche membro del consiglio
comunale, era pagano; la madre, Monica, che aveva avuto tre figli, fra
cui il primogenito Agostino, era invece cristiana; e fu lei a dargli la
prima educazione religiosa ma senza battezzarlo, come d'altronde
succedeva spesso a quei tempi, quando si rinviava il sacramento all'età
matura. Dopo i primi studi a Tagaste e poi nella vicina Madaura si recò
nel 371 a Cartagine grazie all'aiuto di un facoltoso signore del suo
paese, Romaniano. Agostino, che aveva sedici anni, era un adolescente
molto vivace ed esuberante: mentre frequentava la scuola di un retore,
cominciò a convivere con una giovane cartaginese che nel 372 gli diede
un figlio, Adeodato. Quella relazione sarebbe durata quattordici anni.
La nascita inaspettata del figlio lo costrinse a disciplinarsi a una
vita meno dispersiva e inconcludente, soprattutto concentrata negli
studi per i quali era stato inviato a Cartagine. Fu in quegli anni che
maturò la sua prima vocazione di filosofo grazie alla lettura di un
dialogo di Cicerone, l'Ortensio, dove lo scrittore latino sottolineava
come soltanto la filosofia aiutasse la volontà ad allontanarsi dal male
e a esercitare la virtù. A Cartagine, dopo aver tentato invano di capire
la Sacra Scrittura, s'imbatté nel manicheismo di cui divenne presto un
apostolo entusiasta. Cominciava così la sua avventurosa ricerca della
verità attraverso eresie e filosofie dalle quali, dopo un'iniziale
adesione, prendeva poi le distanze grazie al suo spirito critico.
Ultimati gli studi, tornò nel 734 a Tagaste dove Romaniano non soltanto
gli aprì una scuola di grammatica e retorica ma lo ospitò in casa sua
con tutta la famiglia dopo il rifiuto della madre che aveva preferito
separarsi da Agostino per non condividerne le scelte. Soltanto più tardi
lo riammise in casa perché aveva avuto un sogno premonitore secondo il
quale il figlio sarebbe tornato alla fede cristiana. A Tagaste Agostino
insegnò per due anni arte oratoria; ma il paese era troppo modesto per
le sue ambizioni, sicché nel 376 decise di ritornare a Cartagine dove
l'amico Romaniano, che egli aveva convertito al manicheismo, lo aiutò ad
aprire una scuola procurandogli persino i primi allievi. Fu a Cartagine
che il giovane retore cominciò a nutrire i primi dubbi sul manicheismo,
che si aggravarono quando ebbe modo di frequentare Fausto di Milevi il
quale nel 383 si era trasferito in Africa. Fausto, che era uno degli
esponenti più autorevoli della setta, non soltanto non riuscì a
scioglierli, ma gliene suscitò altri. Aveva vissuto ormai sette anni a
Cartagine quando, stanco della poca disciplina dei suoi alunni e forse
desideroso di nuove esperienze, decise di trasferirsi a Roma. Sordo alle
lacrime della madre che voleva trattenerlo in Africa, la lasciò con un
pretesto e salpò segretamente per l'Italia insieme con la moglie e il
figlio. Ma a Roma, dove grazie all'ospitalità dei manichei aveva ripreso
insegnamento, non riuscì a trovarsi a suo agio. Una malattia gravissima
lo condusse quasi alla morte, l'ipocrisia dei manichei romani lo
allontanò spiritualmente dalla setta anche se esteriormente manteneva
buoni rapporti per motivi di convenienza. Ormai cercava altrove una
soluzione ai suoi dubbi: una strada lunga, la sua, che avrebbe
attraversato i territori dello scettiscimo e del materialismo. Anche
l'attività di m'segnante cominciò a pesargli, anzi a disgustarlo perché
gli studenti romani avevano l'abitudine di trasferirsi in massa presso
un nuovo insegnante quando veniva il momento di pagare. Nel 384 decideva
di lasciare Roma per Milano che era diventata la sede stabile della
corte imperiale: una città vivace culturalmente ed economicamente, dove
ormai aveva acquisito una grande autorità il vescovo Ambrogio. Grazie
all'appoggio del prefetto dell'Urbe, Quinto Aurelio Simmaco, al quale
era stato raccomandato dai manichei, era riuscito ad ottenere la
cattedra di retorica che in quel momento era vacante. Milano fu la tappa
decisiva della sua ricerca. Non poco contribuì alla sua conversione
sant'Ambrogio, che Agostino, dopo una visita di cortesia, non ebbe modo
di frequentare assiduamente, ma poteva ascoltare regolarmente in
cattedrale dove predicava. Frequentava invece un anziano sacerdote, san
Simpliciano, che aveva preparato all'episcopato Ambrogio. Simpliciano,
la cui festa liturgica cade il 16 agosto, con finissimo intuito
pedagogico lo incoraggiò a leggere i neoplatonici ai quali Agostino si
era già avvicinato nella sua ricerca, spiegandogli che i loro scritti
suggerivano "in tutti i modi l'idea di Dio e del suo Verbo". Sapeva che
per un intellettuale come Agostino quella sarebbe stata la via maestra
per liberarsi delle scorie che ne impedivano la conversione. A questo
lento processo contribuì anche la madre che lo aveva raggiunto a Milano
nella primavera del 385. Si deve a lei l'incontro tra il figlio e
Ambrogio che segnò un altro passo verso il battesimo. Ma soprattutto la
sua testimonianza nel vivere la fede aiutò il figlio a capire il nucleo
del cristianesimo, la comunione con il Cristo. E fu lei a convincerlo a
lasciare la moglie, che giuridicamente era soltanto una concubina,
rimandandola in Africa senza il figlio Adeodato che egli tenne presso di
sé. Come giudicare quella decisione per tanti aspetti crudele? Celebre è
l'atto finale, la scena della conversione. Agostino si era appartato nel
giardino della sua casa milanese. Era disorientato, angosciato, incerto.
Finché da una casa vicina udì una voce: "Tolle, lege; tolle, lege",
prendi e leggi. Poco prima, allontanandosi da un amico, aveva lasciato
su un tavolo le Lettere di san Paolo. Ritornò sui suoi passi e aprì a
caso il libro leggendo: "Comportiamoci onestamente ...: non in mezzo a
gozzoviglie e ubriachezze, non fra impurità e licenze, non in contese e
gelosie. Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo e non seguite la
carne nel suoi desideri" (Rm 13, 13 ss.). Il professore di retorica
continuò ancora per qualche settimana il suo insegnamento; poi si ritirò
insieme con la madre, il figlio e alcuni amici a una trentina di
chilometri a nord di Milano, a Cassiciaco. Infine nella notte di Pasqua
del 387 ricevette il battesimo dalle mani del vescovo Ambrogio. Ormai
non aveva più motivi per restare in Italia. Decise di ritornare in
patria dove voleva creare una comunità di amici in una vita monastica.
Verso la fine dell'estate lasciò Milano scendendo fino ad Ostia da dove
si sarebbe dovuto imbarcare per l'Africa. Mentre aspettavano la nave,
Monica improvvisamente si ammalò di una febbre maligna, probabilmente
malaria, e dopo nove giorni, all'età di cinquantasei anni, morì: era il
27 agosto del 387, che divenne la sua festa liturgica. il suo corpo,
sepolto nella chiesa di Sant'Aurea, fu trasferito nel 1430 a Roma, nella
chiesa di San Trifone, poi dedicata a sant'Agostino, dove si venera con
grande devozione: Monica è considerata infatti il modello e la patrona
delle madri cristiane. Agostino, sepolta la madre, decise di restare a
Roma ancora per un anno per visitare i monasteri e studiare le
tradizioni di quella Chiesa. Tornato in patria nel 388, vendette i pochi
beni che aveva, ne distribuì il ricavato al poveri e insieme con alcuni
amici fondò una piccola comunità dove tutto era proprietà comune. Tre
anni dopo, mentre si trovava per caso nella basilica di Ippona, il
vescovo Valerio stava proponendo alla comunità di consacrare un
sacerdote che potesse assisterlo. La presenza di Agostino non era
passata inosservata: ad un tratto si levò un grido: "Agostino prete!".
Non era certo questa la strada che avrebbe voluto imboccare. Cercò in
tutti i modi di rifiutare la designazione. Ma fu tutto inutile: alla
fine dovette accettare. Chiese tuttavia al vescovo di poter costruire un
monastero dove, accanto ad alcuni anziani ecclesiastici a riposo,
vennero a vivere inizialmente molti laici che mantenevano la comunità
col lavoro manuale. Ma ben presto quel monastero - e certamente altri
edificati successivamente sullo stesso tipo - divenne un seminario di
preti e vescovi della Chiesa africana. "Questo fatto ebbe ripercussioni
notevolissime in seno alla cristianità," ha osservato Giuseppe Turbessi
in Regole monastiche antiche (Roma 1990) "la quale così si avviò verso
una salutare riforma dei costumi che servì mirabilmente a ristabilire
l'ordine, la pace e l'unione degli spiriti... L'iniziativa agostiniana
inoltre gettava le basi del rinnovamento dei costumi del clero. "Il
sacerdozio è cosa tanto grande che appena un buon monaco" così pensava
sant'Agostino "può darci un buon chierico." Scrisse anche una brevissima
Regola, Regula ad servos Dei, che venne poi assunta dalla Comunità dei
canonici regolari, o Agostiniani, a metà del IX secolo. Nella Regola si
colgono molte affinità con il monachesimo di san Basilio Magno
nell'apertura pastorale verso i fratelli e nel rifiuto di eccessive
mortificazioni. Cinque anni dopo il vescovo Valerio, temendo che
Agostino venisse eletto alla cattedra episcopale di qualche altra
Chiesa, convinse il primate della Numidia, Megalio di Calama, a
consacrarlo vescovo coadiutore di Ippona. Dovette lasciare il suo
monastero, ma nell'episcopio continuò a condurre vita in comune con i
sacerdoti. Infine nel 397, morto Valerio, fu nominato suo successore.
Ogni giorno Agostino doveva presiedere le funzioni liturgiche,
amministrare i sacramenti e di domenica predicare. Inoltre doveva
preparare al battesimo i catecumeni, occuparsi dei poveri e degli
orfani, dedicarsi all'attività caritativa. Nello stesso tempo scriveva
le sue opere, che dalle Confessioni sino alla Città di Dio sono la
testimonianza di un pensiero teologico che si confrontava con le eresie
e i problemi del tempo: una riflessione che avrebbe influenzato tutto il
dibattito teologico occidentale, tant'è vero che la sua dottrina della
Grazia ha suscitato fino all'età moderna dispute e interpretazioni
diverse. Dopo aver discusso con manichei, donatisti e pelagiani Agostino
dedicò una delle sue ultime opere, La città di Dio, a confutare le
accuse che i pagani, dopo il sacco di Roma, rivolgevano al cristianesimo
che ritenevano una dottrina irrazionale e socialmente inefficace,
impotente ad opporsi alla rovina di una città e al crollo di un mondo:
un'opera imponente che, se rivela delle crepe nella polemica antipagana,
è invece una compiuta visione metafisica ed escatologica della storia
umana. La città di Dio non fu la sua ultima opera. Lavorò ad altri
scritti, fra cui Le ritrattazioni in cui cercò di sottoporre a una
rilettura critica l'intera sua riflessione per chiarire, completare e
correggere il suo pensiero in modo da offrirne l'autentica
interpretazione. Ma non riuscì a completarla: nel 429 si ammalò
gravemente mentre la sua città era assediata dai Vandali. Morì all'età
di settantasei anni il 28 agosto del 430, che divenne poi la sua festa
liturgica. Il suo corpo, sottratto ai Vandali durante l'evacuazione e
l'incendio di Ippona, venne trasportato a Cagliari dal vescovo Fulgenzio
di Ruspe al tempo del suo primo esilio (508-517 circa) o del secondo
(518-519) insieme con quelli di altri vescovi africani. Infine, tra il
720 e il 725, il pio re longobardo Liutprando riuscì a riscattare dai
Saraceni la salma di Agostino e a trasferirla a Pavia, non lontana dai
luoghi della sua conversione. |
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